
Per l’8marzo 2021 il Gruppo di Lettura, Donne del Mondo, attivo presso la Biblioteca Comunale di Perugia dal 2016, dedica un video a tre scrittrici della letteratura italiana e straniera: Patricia Grace, Alice Zeniter e Alba de Céspedes.
Silvana Sonno, scrittrice e lettrice del Gruppo di Lettura, parla della scrittrice e drammaturga francese Alice Zeniter con il romanzo «L’arte di perdere».
Tommasina Soraci, scrittrice, parla della scrittrice neozelandese Patricia Grace con il romanzo «Potiki».
Nicoletta Nuzzo, poeta, parla di Alba de Céspedes con il romanzo «Dalla parte di lei» attraverso la voce di Sandra Fuccelli.
Quello che segue è il mio testo . Qui il video
Alba de Céspedes, Dalla parte di lei, Mondadori 1949
A Modena, il corpo entra nella polis: insieme alle altre donne sono seduta sui marciapiedi, per terra nelle piazze, non più fuori dalla polis.
Non è più il corpo di Antigone seppellito fuori le mura né quello fluviale di Ofelia, corpo di superficie, ma torna corpo di carne, e irrompe.
Zoccoli da lavori pesanti e umili dell’antico servaggio come calzature militanti per marciare nei cortei, ballare, per andare dappertutto (niente scarpine che scivolano su tappeti e al chiuso), gonne a fiorellini, piene di colori come quelli dei paesi solari: il corpo s’illumina e diventa allegro, vistoso non più rarefatto nella penombra e nell’assenza.
Erano gli anni Settanta.
Ma anche dopo la passione di diventare me stessa non mi ha abbandonato. La costellazione di donne che mi rafforzano si è ingrandita fin qui a Perugia.
In questa costellazione ho imparato che non ci può essere autenticità di vita senza la consapevolezza del proprio genere, non ci può essere un rapporto con un’altra donna senza il patto di reciproco riconoscimento di valore.
Di questo dice l’arte di una Signora del Novecento, Alba de Céspedes.
Donna di rara tenacia e scrittrice riluttante a farsi incasellare in schemi prefissati, ha improntato il proprio percorso creativo su due binari: quello dello stile – nei termini della qualità letteraria – e, soprattutto, quello dell’impegno politico e dell’insopprimibile esigenza di libertà e giustizia.
Sebbene taluna critica abbia inserito – o tentato di inserire – la sua opera nel contesto di quella che viene convenzionalmente definita letteratura rosa, l’opera di Alba de Céspedes, per contro, ha sempre mirato alla produzione di scritti di spessore etico e intellettuale, comunque in grado di far emergere la propria vocazione artistica senza che venisse meno l’impegno politico.
Il suo primo romanzo è del 1938, Nessuno torna indietro, pubblicato per Mondadori. Il regime fascista arrivò a censurarlo chiedendo il ritiro delle copie. In questo romanzo de Céspedes aveva “osato” dar voce a una femminilità libera, conscia di sé e delle proprie risorse, desiderosa di ridefinire i contorni della propria esistenza ed estranea ad ogni idea di “angelo del focolare”. Il successo del libro, nonostante varie difficoltà, varcò i confini nazionali ponendosi subito come un best seller internazionale.
In uno scambio epistolare con Natalia Ginzburg che considerava vero guaio delle donne “la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla”.
De Céspedes ribatteva “al contrario di te, io credo che questi pozzi siano la nostra forza” perché “nel riaffiorare portiamo in noi esperienze tali che ci permettono di comprendere tutto quello che gli uomini, i quali non cadono mai nel pozzo, non comprenderanno mai”.
Dalla parte di lei narra la storia della protagonista Alessandra dalla sua infanzia all’uccisione del marito Francesco in un arco cronologico che va dagli esordi della dittatura fascista fino al secondo dopoguerra.
Scrive le sue memorie dal carcere. Alessandra narra la sua verità la sua visione e ci chiede il diritto di essere ascoltata.
In questo romanzo Alba de Céspedes scrive:
“Sveglia, intirizzita ero oppressa da un incubo: nell’appartamento di sopra, in quello contiguo, nei bianchi casamenti moderni che sorgevano accanto al nostro, in tutte le case di Roma, in tutte le case del mondo, vedevo le donne sveglie nel buio, dietro l’invalicabile muro delle spalle maschili. Parlavamo lingue diverse, ma tutte tendevamo invano di far udire le stesse parole: nulla poteva attraversare l’incrollabile difesa di quelle spalle. Bisognava rassegnarsi ad essere sole, dietro il muro; e stringerci tra noi, sorreggerci, formare un grumo di sofferenza e di attesa.”
Il grilletto è rivolto alle spalle del marito quelle stesse spalle che costituivano spesse mura impenetrabili, indistruttibili ed invalicabili. Quella di Alessandra è, dunque, una sofferenza secolare che si tramanda di madre in figlia ed imprescindibile unisce tutte le donne, stabilendo una connessione emotiva basata sulla condivisione del medesimo dramma.
La protagonista sin dall’infanzia trova nella dimensione femminile un universo di affetti assente nel rapporto con il sesso opposto. La nonna paterna, donna di campagna, statuaria, tuttavia forse sarà l’unica a comprenderla nella sua moralità arcaica. Una nonna legata ad un sistema matriarcale antiquato di fatto diviene portatrice di un messaggio rivoluzionario: la forza delle donne sta nel detenere la vita. Dinanzi all’anaffettività e indifferenza del marito la protagonista si ribella senza fuggire: dopo l’ennesima richiesta d’aiuto rimasta, come urlo muto, inascoltata, Alessandra con una pistola pone fine al silenzio di Francesco ma con questo gesto si condanna per sempre alla solitudine.
Quando nel 1948 Arnoldo Mondadori, leggendo il manoscritto, provò a contestarne il finale, l’autrice gli scrisse: “ in realtà è il padre che ella uccide per l’odio accumulato contro di lui attraverso le delusioni e le sofferenze inflitte alla madre; è il padre che ella uccide nel gallo, e mentre fa la pasta, e in tutti i gesti monotoni e ossessivi della sua vita domestica: è il padre che ella uccide in Francesco, liberandosi infine con un atto di rivolta, mentre è sul punto di tradire o di uccidersi ella stessa, ubbidendo per istinto all’atavica umiliante consuetudine di schiavitù”.
Nicoletta Nuzzo