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Distanze

recensione di Nicoletta Nuzzo

M’incuriosiscono sempre i libri di Silvana Sonno non solo per i loro pregi ma anche per la creatività con cui aderisce alle piccole e grandi storie dell’anima e della vita. Per lei le parole sono liquido amniotico che la circonda e che alla necessità diventano scrittura di romanzi, poesia, saggi e di tutto ciò che come l’acqua può prendere forma. Con lei la laboriosità della parola è infaticabile nell’estrarre simboli da ciò che è pulsante come il suo giardino dove anche lei inspira tutto ciò che è corteggiato ed è sedotto dalle varie specie viventi. “Io ho un giardino/piccolino ma ben frequentato./Passeretti, pettirossi, cardellini/un buon numero di lombrichi appetitosi/e briciole donate dal pane quotidiano.” (da La merla).

In Distanze di Silvana Sonno (Era Nuova Edizioni 2023) la poesia fa da spola tra i ricordi sicuri della memoria e l’altrove fino alle stelle: “Ma nel tempo discorde ancora l’immagine/indugia. È il tuo viso, papà, dietro il vetro./M’aspetti. La tua mano protesa dall’uscio/che dice – È tardi, fa’ presto/la notte già avanza”(da Lucciole).

Il fare dei versi inganna l’attesa che ci accompagna e gli strati delle parole approssimano nuovi orizzonti che allontanano la resa: “e l’illusione d’un altrove/che non porge se non riparo/al sogno d’essere altro/da questa terra, madre di pietra/e fango, signora della gioia/e del dolore, approdo originario/della vita che dipana se stessa/dentro di me, vivente in questa resa.//” (da Resa).

Che ci sia una stilla di verità: “una verità, sia pur falsa/ma che impegni l’intelligenza/in quel labirinto dell’anima/dove si estenua ogni conoscenza./La sosta, mai./Certezze, mai.” (da Verità).

Che ci sia un’impronta del proprio nome: “d’aver vissuto in piena soddisfatta/convinzione di non essere stata/un granello sprecato dentro una tempesta/di dolori e ovvietà, vortice d’un ciclone/che spazza e ricompone/e rimuove ogni traccia dalla via.” (da Far pace).

Non più l’illusione di un albeggiare senza fine: “Sì. Prego./Pur se annaspo nel dubbio, io prego./Prego mi si conceda di varcare quell’infinita alba/e sfiorare con gli occhi l’attimo che lì ti avvolge e ti perpetua/e dopo – solo dopo – consegnarmi tacita all’Enigma.//”(da Forse).

Che sorga un amore che non pietrifichi i confini dei corpi e non sia solo ”una scia dolente nell’aria” (da Amore è).

Che non ci sia la violenza sui piccini: “che ne sanno, piccini/che ne sanno/d’essere loro votati alla violenza?//” (da Tigre).

Che il corpo di donna sia àncora di essere:“Nel blu profondo divinità materne/spandono latte. Il cielo è donna” (da Blu).

                                                                         

Distanze di Silvana Sonno, prefazione di Anna Maria Robustelli, Edizioni Era Nuova. In Copertina “La raccoglitrice di miele” pittura rupestre presso Valencia 8000 a.C.

 
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Pubblicato da su 11/11/2023 in Uncategorized

 

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Verticale

Mi scrivi che Verticale (Angela Chermaddi, Edizioni Porziuncola 2023) è un tentativo di dialogo con il Padreterno e io sento che non vedo l’ora di leggerlo. Il punto vitale è come dialogare? Ma tu lo fai in ben 300 pagine e in versi, non sono le preghiere del Catechismo ma sono quelle di chi è discesa nel profondo di se stessa e tra vizi e virtù ha sentito il proprio trepidare e crepitare al punto di trovare parole intime e familiarità con Dio. Io dubito molto di me stessa e ho vissuto le mie trasgressioni come un peccato, per questo prego in modo tradizionale rischiando la superstizione per un eccesso di ritualità.

Eppure mi piacerebbe come dono di libertà trovare come fai tu un modo personalissimo di rivolgermi a Dio: come si fa con una madre, un padre, una sorella, un’amica tra bizzarrie e complicità e tanta tanta confidenza.

Vorrei che le incrostazioni che mi ha lasciato una formazione cattolica molto bigotta di un paese del Sud fossero solo superficiali senza unghiate e colpi bassi. Ma anche tu scrivi : “subisco l’invasione e scoppia/il cuore colpevole di spavento”. Imparo da te quando dici:”solo affidarsi è decisione che salva” e lo dici perché il tuo Dio è assenza/presenza dinanzi al tuo desiderio di sentirti “-absolta- leggera/come a un risveglio di neve/accoccolata nel tuo perdono”. Ma poi “un Dio di piume mi chiama/alla metamorfosi-il cuore/tra due ali ha polpa leggera/portata dalla corrente” Ma è un Dio che ha un grembo ed è da lì che “potrei ricreare il mondo/con parole nuove/zuppe di liquido amniotico”. I tuoi versi sono vivi di viscere e c’è “il vivo scarlatto a innervare ogni vita/le immense rosse radici del fiore/bianco che avvampa sull’altare”.

                                                                                                      Nicoletta Nuzzo

 
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Pubblicato da su 05/11/2023 in Uncategorized

 

Tu sei bellezza

recensione di Nicoletta Nuzzo

Anche se leggessi mille volte le poesie di Federica mi prenderebbe sempre il primo incanto. Anche ad un extraterrestre che magari non ha i problemi di noi umani impermanenti gli prenderebbe un languore di provare le sue emozioni: “Rivestirsi di azzurro mare/dopo questo esilio/rientrare nella gonna a scaglie/quella antichissima/di quando solo le stelle/non erano pesci.”

La sua poesia è inscindibile dalla sua natura, dal suo modo di essere, non potrebbe vivere senza la grazia delle sue immagini poetiche, “Una ragazzina, ora avrà quarant’anni/il viso solcato/è una semina di peonie.” “non chiedere altro/se non l’ottuso sguardo/di una gallina/ -trasecolata-/sotto il suo niente/di cielo stellato.”

E Federica Ziarelli non è certo strana e ombrosa come ci indica lo stereotipo dell’artista, ma il suo vivere è rischioso come quello di tutte/i soltanto che ci narra il pericolo, l’assenza con un pieno delle virtù della Terra, del mare, delle stelle, del padre “Niente desidero/che non abbia il peso/della mano di mio padre/sulla fronte scacciava via le febbri/il lesinare petulante della paura.”; della figlia “perché il pettirosso possa trovare/oltre la neve del suo inverno affamato/un tenue smeraldo di prato/e te, fata  Uccellino.”(da A mia figlia); dell’amato “Del tuo volto i lineamenti/arrivano con valigie d’aria” (da A Cesare)…..

 E quando l’atterraggio le si avvicina, lei volta l’angolo e disobbedisce: “bimba che girato l’angolo/è già sparita in un altro mondo.” “Smetti di piangere e scrivi la tua storia./Tua madre ti chiama/è di sera che si fa così lilla fiorito/disubbidisci:/non uscire dal mare.”

                                                                                           

Tu sei bellezza di Federica Ziarelli (Terra d’ulivi Edizioni 2022)

Illustrazione in copertina di Alba Pasquini

 
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Pubblicato da su 27/03/2023 in poesia, recensione

 

Un gatto senza vanità

Recensione di Silvana Sonno per Un gatto senza vanità di Nicoletta Nuzzo, Giovedì 17 novembre 2022, Biblioteca San Matteo degli Armeni, Perugia

 Libro complesso, elegante, sofisticato. Insolito.

E’ un testo difficile da raccontare, perché non è solo narrazione, ma anche suggestione; il tempo vi scorre in un’ alternanza di passaggi tematici, a volte solo frammenti, sempre sostenuti da una scrittura lirica, di alto potere espressivo.

Provo a sintetizzare parlando di  un raffinato racconto a tappe, dove la presenza di un gatto consente a Nicoletta Nuzzo una particolarissima “ricerca del tempo perduto”, testimone lui – Ugo il suo nome  –  di una identità   che si è formata dentro una comunità totalmente femminile, in un Sud che è stretto dentro una cultura patriarcale, misogina, ricca di pregiudizi, forgiata in stereotipie maschili, ma è anche il luogo mitico dell’infanzia, e anche dell’infanzia del mondo mediterraneo, luogo sacro alle antiche dee femminili, tra cui primeggia Diana, la dea lunare che torna nel libro sotto le spoglie di una gatta bianca, nell’ultima parte del testo.

Ma  chi è Ugo? Ugo è un gatto di casa, che, come scrive Nicoletta, fin dall’inizio del suo apparire appartiene all’araldica  famigliare, quando si mostra nel suo distendersi  sul tappeto della casa natale, per rilassarsi,  come un gattopardino in posa all’interno dello stemma di famiglia, col ventre allargato ed il piedino che scivola languidamente fuori.

Una divinità domestica, dunque, non come lo Stregatto di Alice; non evapora, non galleggia nell’aria, non muta forma, non ghigna, anzi è una presenza stabile, solida, nella vita di Nicoletta e delle sue sorelle, che per Nicoletta acquista il carattere simbolico, metaforico di “Custode della Soglia”, abitatore del Mondo dell’Oltre Tempo, punto di riferimento costante delle sue riflessioni e delle sue ossessioni;  e per questo  può divenire  Guida e Alleato psichico nel processo di individuazione femminile di cui questo libro si fa testimonianza.

Nel titolo si dice che Ugo è un gatto senza vanità. Cosa si intende con questo? Io intendo qui vanità in senso etimologico; vano: l’inconsistente, il vuoto. Ugo, come ce lo presenta Nicoletta, non ha vuoti. Il suo è un corpo senza colpa che non ha ereditato il peso dell’espiazione del peccato originario ed è intero. Intero perché sente e pensa con tutto se stesso, senza separazione tra testa e corpo, come accade ai viventi non umani, dove, scrive Nicoletta, “il divino  si manifesta  con una immediatezza che spesso manca a noi  umani, invischiati e intrappolati come siamo anche dalla nostra stessa “cultura”.

E ancora, rivolta a Ugo: “…. Non ti stressare con l’ossessione di un corpo che deve essere utile, che deve comunicare…il corpo sa più cose di quelle che noi possiamo conoscere, lasciamogliele dire, ed è questa una cosa che tu sai fare quando vivi come sei, ed è lì la tua perfezione” .

Dunque Ugo è perfetto e per questo diventa l’amico complice di chi cerca l’interezza e rifugge le falle di un corpo di donna aperto, lacero, esposto, un corpo incubo da esorcizzare con le parole, con l’arte. Una cicatrice inconsolabile segna la perdita del cordone con la madre terra, spinge alla ricerca delle parole davanti a una madre di carne, ma muta, silenziosa per anni, che scrive la sua storia con le mani abili da sarta e traspone nella confezione del cibo per le figlie la verità originaria per la quale non ha lingua.

 “Tu, mia madre, eri stata la divinità che mi aveva creato, il tuo soffio vitale aveva fatto di me la creatura dei tuoi sogni: incorporea e perfetta… quando tempo dopo tutto cominciò ad addensarsi oscurandosi nella materia anche tu diventasti densa e oscura…poi tu cominciasti a rinnovare i fasti della nascita trasformando tutto in cibo per me, per noi due.  Quelle erano le tue parole per me, parole ritornate cibo, parole da mangiare che avrebbero riportato per sempre dentro di me l’onda calda della verità originaria”.

  Le parole così tanto cercate, per Nicoletta  diventano persone,  come ci dice anche James Hillman: attivano e disattivano emozioni, appaiono come angeli, ma possono abbandonare e allora nella loro assenza è di nuovo l’orrore, la solitudine, il peso dell’esistenza che grava sul corpo muto; solo le parole possono contrassegnare i veri “momenti d’essere”, diventare lingua per dire le nuove conoscenze della crescita combattere la paura e le aggressioni, esterne e interne; per dirsi.

 E Ugo in tutto questo?

 Ugo corpo intero è lui stesso parola, la sua bellezza è parola che consola.  Anche Ugo, però, ha i suoi fantasmi, i suoi timori, ma nei millenni – dai gatti mitologici, divinità infere dell’Egitto, come la gatta Bastet scolpita splendidamente nel porfido nero –  ha imparato l’arte di schivare il pericolo, mimandolo, rappresentarlo con un po’ di distanza, forse farselo amico. Diventa un po’ artista, Ugo, nelle sue pantomime e forse ci si diverte anche un po’, scrive Nicoletta.

E forse è un po’ quello che fa anche Nicoletta, con questo libro e con gli altri. Tutti condotti a essere luogo dove si traspone la “vera casa della memoria”, quella di Diso, il paese salentino dove sorge la casa dell’infanzia e dove per molte estati anche Ugo si trasferiva con le sue amiche da Modena, la città dei portici dove ha vissuto.

 La casa di Diso, che conserva e difende, dove il rumore del mare è voce che salva e molto del passato (la sua memoria) è rimasto lì, sospeso. Lo si può raccogliere alla bisogna e farsene scudo, protezione.

 Riporto dal testo uno stralcio che presenta la complicata costellazione familiare di Nicoletta ai suoi esordi:

Neanche lo sguardo

Nella prima stanza a Diso, dove adesso ci riuniamo in salotto per guardare la televisione, mio padre vide per la prima volta mia madre. Lui stava chiedendo al suo destino un’altra possibilità: una  pagina bianca, intatta dove scrivere un’altra storia di se stesso, con l’aiuto questa volta dell’esperienza. Così sposò mia madre: e lei giovane molto più giovane di lui voleva dire immunità e ancora altra immunità con noi quattro figlie tutte nuove, ma tutte donne. Lui non voleva pericoli per noi e i pericoli erano i maschi che circolavano non solo davanti ai bar, ai negozi, nella piazza del paese ma dentro casa come amici, cugini, parenti e naturalmente in ogni parte del mondo. Un’ossessione: non poteva  stare tranquillo, ma neanche noi con la custodia di un corpo da  mantenere come ci era stato consegnato cioè puro, anzi intatto. Non era un compito facile. A volte bastava uno sguardo di fuori ma anche dentro di sé…era  difficile portare con sé un corpo di donna,   pieno di confusione dove si mescolavano grazia e tensione, e questo doveva avvenire di nascosto… e non era nuovo questo sogno di grazia. Nel tempo quanti busti e scarpe strette, quanto sudore e fatica nascosta per quella “superiore” parte nella rappresentazione!

Un corpo incrinato da troppe presenze: anche quella dei mariti possibili e dei figli possibili.”

Un futuro di donna che sembra già iscritto come destino nel corpo e a cui è necessario restituire la purezza degli inizi, quando la Grande Madre stabiliva ordine ed armonia nel cosmo millenario. E ritrovarlo intero per sé nei gesti e nei riti della scrittura che viene finalmente a difendere, contro la cultura patriarcale, una corporeità che è cella sacra dell’origine.

Nel suo dipanarsi il testo di Nicoletta Nuzzo svela un  percorso interiore, non sempre lineare,  che è anche un pellegrinaggio, con a fianco la piccola presenza di un emissario dell’Oltremondo a ricordarle che ci può essere salvezza.

                                                                                   Silvana Sonno

Un gatto senza vanità di Nicoletta Nuzzo, Rupe Mutevole Edizioni, collana Trasfigurazioni, ristampa 2021

 
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Pubblicato da su 19/11/2022 in raccontarsi, recensione

 

Conversazione con Silvana Sonno

recensione di Nicoletta Nuzzo

Ho cercato un pomeriggio senza interruzioni per leggere “Conversazione con Silvana Sonno” (Era Nuova Edizioni), un libro così particolare dove con chiarezza mentale invidiabile l’Autrice mette in fila le sue vicende di vita dalla nascita fino ad  oggi. Lei accetta il rischio e si volta a guardare ed io che – accolgo affascinata la sua presenza di amica, scrittrice, poeta, saggista, attivista femminista- cerco in ogni parola il suo segreto di essere diventata la donna così sapiente che è, di essere Silvana Sonno, quella che porta iscritto nel suo DNA il noi/solidarietà per tutta la comunità vivente. Facciamo parte della stessa generazione che oggi si aggira sui settanta anni e che ha pensato negli anni ‘70 di non poter mancare all’appuntamento con la Storia.

E allora bisognava andarsene da casa per vibrare nella passione per il vero mondo e cercare al di fuori delle convenzioni anche nell’irregolarità la verità del proprio viaggio umano. “Ingrata… lascio la casa e lei, piccolissimo il mio nome con voce di sirena mi chiama oltre la soglia.” Così per me quando ho lasciato Galatina di Lecce.

E non mi aveva fermata il profumo del gelsomino che entrava dalla mia finestra petulante dopo aver sfiorato le piante inermi del cortile e l’odore di gelato misto al caffè del bar della piazza. Il bar dove potevano entrare solo gli uomini di quel paese del Sud.

E non mi aveva fermata quel mare che da sempre aveva alimentato il mio delirio di purezza e infinito. No, io dovevo resistere, non potevo cedere, altrimenti sarei andata in mille pezzi, e sarei rimasta in trappola come lei, mia madre.

Avevo fretta di cominciare la mia vera vita, via da quei luoghi del mai, sarei arrivata a Modena nella città dei portici dove le donne non passavano il tempo ad aspettare, loro erano cittadine e soprattutto padrone del tempo, e il tempo era il presente.

Così negli anni Settanta anch’io sono entrata in quel presente tanto sognato. Avevo 19 anni anni, non c’erano più le pareti della casa o il grembiule nero del liceo a segnare il confine tra   impuro e puro cioè tra me-corpo e il mondo. L’unico confine che cercavo era la mia identità.

E’ così anche per Silvana che dopo l’Università lascia Deruta vicino a Perugia per andare a Torino dove gli echi del mondo arrivavano con immediatezza. Insegna agli adulti con le 150 ore, partecipa a convegni, manifestazioni per i diritti delle donne. Per dieci anni fa autocoscienza nel piccolo di gruppo di quelle che diventeranno le sue amiche per sempre. Il corpo di donna con la sua differenza diventa la centralità nei percorsi di analisi: è un corpo pieno di enigmi, difficili da decifrare anche per noi stesse, corpo su cui si sono succedute scritture, bisogna avere l’attenzione e la pazienza infinita di un restauro per ritornare agli affreschi e ai colori originari.

E se è possibile trovare il coraggio di scendere fino alla cripta con i suoi graffiti.

Poi arrivano per Silvana i sensi di colpa per la malattia del padre e il ritorno a una Perugia diventata estranea, dove anche alcune parole che l’avevano accompagnata suonano diverse. E’ socia fondatrice del Rete delle donne AntiViolenza di Perugia, poi la scrittura in una magnifica e vasta produzione letteraria e saggistica e fra le tante opere cito alcune pubblicate con Era Nuova Edizioni: Le madri della patria. Donne e Risorgimento 2012, Le parole per dirsi. L’altra metà della lingua 2013, Tre donne nella rivoluzione 2017, saggio dedicato a Marina Cvetaeva, Anna Achmàtova e Aleksandra Kollontaj. 

Da nove anni Silvana, io ed altre lettrici ci incontriamo presso la Biblioteca comunale San Matteo degli Armeni di Perugia in un Gruppo di lettura incentrato sulla scrittura femminile per approfondire la produzione letteraria delle donne, in gran parte escluse dal “canone” tradizionale, di stampo maschile. Come dice Silvana: Il mondo è grande e il gruppo avrà lunga vita.

Ringrazio Silvana Sonno per questo libro in cui lei è testimone di un percorso di una identità al femminile in cui ognuna di noi può rispecchiarsi e interagire e ricondursi al centro di se stessa e al centro di quegli anni in cui la Storia anche con i suoi buchi neri ci ha appartenuto.

                                                                                                            

 
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Pubblicato da su 03/11/2022 in raccontarsi, recensione