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Scacco

Scacco 

C’è una miseria che è dell’umano
che cova nel recinto del suo corpo,
c’è una miseria più grande
che è quella delle donne in schiavitù nel recinto delle mura.

Ad ogni generazione ogni figlia
ne chiede conto alla propria madre
in un corpo a corpo infiammato da rabbia ma anche da disprezzo,
le madri rimuovono “questo perché”
restituendolo alla propria madre
che a sua volta lo riporta sempre più su fino all’inizio,
fino al matricidio che il padre ha commesso
perché non poteva sostenere un altro sguardo,
delle visceri che sapevano popolare la Terra…
e un delitto in famiglia è colpa di tutti
ed è da nascondere
e così quel sangue materno è rimasto indifeso e intriso di vergogna.

Ma la miseria è un’onda
che si risolleva nella cadenza dell’essere,
ricompare nell’affanno del prendere la parola,
nel guardare di sbieco e con sospetto un’altra donna
che più bella più brava ci potrebbe sostituire nella servitù,
miseria è sprofondare nell’esclusione,
in un vuoto senza radici,
miseria è sopportare con la rinuncia la propria illibertà.

Nicoletta Nuzzo

 

opera di Elaine Despins. “SQ1″, 76 x 76 cm / 30 x 30”

 
 

Quella miseria femminile che sembra una condanna

ron gilad

 

C’è una miseria che è dell’umano che cova nel recinto del suo corpo, c’è una miseria più grande che è quella delle donne in schiavitù nel recinto delle mura. Ad ogni generazione ogni figlia ne chiede conto alla propria madre in un corpo a corpo infiammato da rabbia ma anche da disprezzo, le madri rimuovono “questo perché” restituendolo alla propria madre che a sua volta lo riporta  sempre più su fino all’inizio, fino al matricidio  che il padre ha commesso perché non poteva sostenere un altro sguardo, delle visceri che sapevano popolare  la Terra…e un delitto in famiglia è colpa di tutti ed è  da nascondere e così quel sangue materno è rimasto indifeso e intriso di vergogna. Ma la miseria è un’onda che si risolleva nella cadenza dell’essere, ricompare nell’affanno del prendere la parola, nel guardare di sbieco e con sospetto un’altra donna che più bella più brava ci potrebbe sostituire nella servitù, miseria è sprofondare nell’esclusione, in un vuoto senza radici, miseria è sopportare con la rinuncia la propria illibertà.

Ma per parlare delle cose importanti della vita abbiamo bisogno di una parola evocativa come quella dei linguaggi artistici, una parola che non sia solo definitoria ma feconda di futuro: questo miracolo di vita ulteriore, di credito ulteriore si può tentare nella relazione politica o amicale con altre donne significative. E così accade che entrando in una genealogia simbolica si può sentire e prefigurare un’autorevolezza femminile altra rispetto a quella a volte mortifera della propria madre e da lì rivederla con compassione.

                                                   Nicoletta Nuzzo

specchio, opera di Ron Gilad

 
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Pubblicato da su 09/08/2016 in politica

 

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Quando la parte è il tutto

diaframma pina nuzzo 2006

L’utero in affitto è un modo di dire assai brutale per liquidare il corpo delle donne. La psiche è il corpo e se non ho lo spazio psichico per accogliere un altro essere posso interrompere questo processo, ma se lo porto a termine non posso sottrarmi a questa relazione.

Se la subisco per motivi economici c’è sfruttamento, se l’accetto per relativismo culturale c’è una mancanza di fedeltà verso me stessa, verso la responsabilità di vedere il noi che si è formato. Quel noi rimarrà per sempre, è un conosciuto di memoria fatta d’istinto ed emozioni che riaffioreranno prima o poi nel pensato di madre e figlio/a. Come donna manco la mia fecondità di mente-corpo, manco il mio essere nella sua trascendenza e sovranità. Di nuovo corpo-merce, corpo-oggetto, di nuovo una maternità senza soggettività.

Con un po’ di realismo non si possono non regolarizzare i figli provenienti dalla maternità surrogata, ma con grande passione ideale non si può cancellare quella differenza di genere che ci dona dignità e cittadinanza e ci toglie dall’irrilevanza. E soprattutto non si può donare qualcosa che non è nostro come un figlio/a.

Nicoletta Nuzzo

immagine, diaframma di Pina Nuzzo 2006

 
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Pubblicato da su 29/02/2016 in politica

 

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Luna di marzo

 

ARTEMIDE_low_febbraio 2014, carta e acrilico su tela cm 70x100_Pina Nuzzo

Non ho attraversato indenne gli anni ’70, l’immagine che avevo di me ha subito un’incrinatura.

Il mio spazio interiore è diventato una cristalliera e così ho dovuto prendere delle distanze di sicurezza per non avere intrusioni e manipolazioni. Non sempre ci sono riuscita, le mie fantasie di fusione allentano i miei confini e ad esse corrispondono da parte degli altri/e fantasie divoranti, sottrarsi è difficile soprattutto con le donne con le quali la risonanza di genere è accesa, ma procedere a zig zag tra complicità e competizione, solidarietà e assimilazione è snervante e mi amareggia.

Ho sempre più a cuore la fedeltà a me stessa, una me stessa che non sempre è riconoscibile da me e dagli altri/e dentro un ordine rassicurante, ma quel “disordine” è il mio modo di svelarmi e di essere nell’autenticità.

Luna di marzo

sei distante stasera,
sottostante c’è il fruscio degli alberi
e sottostante ancora io,
io quasi niente,
neve e scorie che non attecchiranno,
dove ci sono dei nodi
c’è del rosso sulla pelle,
non mi avvicino,
non avvicinarti neanche tu,
confido nella calma dei nomi,
nel loro sguardo lungo che si posa
e mi culla senza toccare

Nicoletta Nuzzo

 

opera di Pina Nuzzo, ARTEMIDE  marzo 2014, carta e acrilico su tela cm 70×100 foto di Francesco Pettinato

 
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Pubblicato da su 07/03/2015 in incontri, poesia, politica

 

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Didentro

56_Catrin-Welz-SteinNon prevedo un matrimonio in abito bianco, né un figlio. Ma le donne sposano gli uomini e mettono al mondo i figli. E io che metterò al mondo? Io volevo mettere al mondo un ideale, una rivoluzione, un cambiamento. Io metto al mondo un cambiamento sì, tanto i figli non mancano.”

Così scrive Laura, giovane donna di 28 anni dell’Associazione 8marzo2012 di Tivoli su Laboratorio Donnae. E poi Laura si chiede “Ma sono lo stesso una donna? Anche senza un marito, un figlio? E che donna sono? Una femminista?”

E che donna sono? Quante volte me lo sono chiesta…sono una donna che ha accettato di perdere allontanandosi dagli stereotipi e da questa perdita  si è curata con le parole, dentro un linguaggio che è costruzione di doni… il figliare è stato per me  trasformare significati, accogliere le immagini che emergono quando riesco a fare il vuoto,  fare silenzio interiore eliminando ciò che è inessenziale. E’ un lavoro invisibile di smottamenti interiori, questo diventare vuoto per inaugurare un mio modo di essere mi fa ammalare e sentirmi come una partoriente: ho insonnia e mal di stomaco che a ondate mi annichiliscono e così ho bisogno di tempo e di cure continue.

Sto cercando la mia identità con determinazione, consapevole che il germe del mio essere ha bisogno di cure continue… ma mi arrampico a quel germoglio con tenacia” Così mi scrive la poeta Valentina Meloni, ed io come lei, come Laura sono una donna che desidera.

Mi viene in mente il libro della filosofa Luisa Muraro “Al mercato della felicità. La forza irrinunciabile del desiderio”…dove scrive che ” il reale non è indifferente al desiderio…Desiderio è la capacità di stare al mondo senza sottostare alle sue leggi”.

Desiderare non per il possesso di qualcosa ma come spinta vitale all’immaginazione.

Se ho bisogno di altre donne per nutrire e sostenere il mio germoglio di essere, non credano di avere dei diritti su di me quelle donne che ancora oggi fanno del proprio essere mogli, madri “perfette” una specie di superiorità o normalità imprescindibile.

Nicoletta Nuzzo 

 

Didentro

è gradito anche un mondo immaginario

che non oltrepassi la mia finestra

e accarezzi la mia fronte,

lì ci sono le  prime impronte

lasciate da un vivere immacolato,

lì ci sono i nomi che ho perso a figliare

dentro un sonno irrevocabile da sirena

Nicoletta Nuzzo

 

Il dipinto è di Catrin Welz Stein